Una famiglia, un villaggio in Azerbaijan

…attraversavo le torride terre Azere, con tutti i suoi piccoli paesi, dove non ho ancora ben capito come si possano immaginare il mondo.  Arrivato stremato alle porte del villaggio, dal simpatico nome Kulullu, mi fermai nella piazzetta principale e fui subito accolto dalle famiglie di allevatori e contadini.  Curiosi e un po’ straniti da me, maschio forestiero, solitario e sporco, mi vennero incontro offrendomi subito la possibilità di provare a dialogare.  Le presentazioni sembrano sempre difficili, quando non si parla la stessa lingua, ma dopo 5 minuti, ero già ospitato da una famiglia.  In molti paesi, ospitare lo straniero è un piacere ed un onore, ma è anche un dovere religioso e segno di importanza nella società.

Quella sera ero ospitato da una famiglia composta da: genitori, due figli maschi, quattro femmine, due zii e la nonna.  Le stanze per la notte erano due, ovvero una camera e il salotto. In medio oriente si dorme nella sala principale, stendendo dei  materassi, sopra i morbidi tappeti persiani e vi assicuro che è una bella usanza.  Io dormivo benissimo, probabilmente perché stanco dal viaggio e dalle notti sotto le stelle.

Poco prima di sederci tutti per la cena, capii che era il compleanno di una delle figlie.  Era una serata speciale, mi sentivo quasi di troppo, ma erano tutti estasiati dalla mia presenza. Raccontai dell’Italia e di altri paesi, un po’ gesticolando, un po’ in inglese, in turco e un po’ disegnando.  Loro mi ascoltavano, ridevano, allegri e felici.  Fu una super cena, c’era di tutto sul tavolo, la madre e la nonna continuavano a portare carne, pesce, verdura, frutta, marmellata.  Si! Tutto insieme.  In Azerbaijan viene servito tutto insieme e si mangia tutto insieme, a propria discrezione, senza mai dimenticare tanta vodka e tanto succo di melograno.

Io non so per quale motivo mi aspettavo un regalo per la figlia festeggiata, capii dopo che la coca cola sul tavolo e la famiglia erano il regalo stesso. Decisi di regalarle la mia collana, non avevo altro.  È stato un gesto molto apprezzato, se la passavano tra sorelle come se fosse preziosa.  Era un cordino con un piccolo timone in acciaio.  Come mi aspettavo, arrivó subito la mano del padre, che la prese la guardò e la strinse nel pugno, sono sicuro che alla fine sarà tornata alle figlie.  Probabilmente nessuno mai aveva regalato loro qualcosa.

Era una famiglia benestante nel villaggio, avevano polli, galline, piante da frutta, una piccola casa in muratura, con un grande cortile attrezzato da ampie tettoie.  Tutto questo recintato, con un grande cancello e un rubinetto di acqua potabile in giardino. Tutto questo non è scontato.

La notte scoprii dove era il bagno, mi era stato indicato dalla madre, quando ancora c’era luce, ma non ne avevo usufruito.  Lo trovai in fondo al cortile, una casetta di legno con un buco nel pavimento e un innaffiatoio da riempire per lavarsi.  Io ero già abituato a questo tipo di servizi, solo nei paesi più sviluppati trovavo i gabinetti.

Anche in questo villaggio, come in molti che ho attraversato in medio oriente, le donne non escono molto di casa.  Escono per svolgere mestieri quotidiani, come pesca, allevamento, riempire le cisterne d’acqua, ma sempre in zona limitrofe all’abitazione.  I maschi fanno le stesse attività, ma sono liberi di andare e venire da dove gli pare e sicuramente cazzeggiano molto di più.  Comunque….  La sera si torna tutti a casa e si sta in famiglia, sempre, tutte le sere, di tutti i giorni, sempre.

Vorrebbero evadere, sentendo le storie del mondo occidentale, ma stanno bene in famiglia, riempiono bene il tempo e il sole da loro ritmi e orari. Niente discoteche, niente pub, niente giro al parco e niente cosmetici o cerette, ed è strano quando sei abituato al modello occidentale.

Avevano un rubinetto in giardino, una stufa in casa e la loro terra.  A tratti sembravano strani, in una vita sicuramente molto limitata, ma sanno ascoltare un po’ di più la vita, credo.

Quindi, specialmente in questo periodo del 2020, penso che possiamo tranquillamente cambiare un po’ stile di vita e fermarci.  Sicuramente farà paura accorgersi che, le piante qui non danno più frutta, che laghi e fiumi non danno più pesci, che poche famiglie hanno della terra e coltivano l’orto, ed è tutta colpa nostra.  In un paese dove ormai, senza super market, siamo dei morti di fame.  Possiamo lavorare e comprare tutto, ma non possiamo sostentarci di prodotti locali.  “10 agricoltori, non possono sfamare 1000 persone”.  Quindi ora, con questa pandemia, potremmo imparare qualcosa basandoci sullo stile di vita dei villaggi persiani, asiatici, sud americani, africani o anche i nostri piccoli paesi di montagna, dove ancora la vita segue i ritmi della terra.  Forse è meglio del sentirsi rinchiusi, del fare le code al market e non ci farebbe essere così impotenti e dipendenti da multinazionale e grandi commercianti.

 

Il terzo mondo è composto dalla grande maggioranza dei paesi presenti sul pianeta, noi occidentali, noi ricchi, siamo una forte, ma piccola briciola in confronto, che purtroppo ha commesso troppi crimini per progredire.  Quello che voglio dire è che USA, Canada, Europa, Australia, Giappone, qualche famosa isola e alcune città sono come Capital City. E tutti quelli che conoscono Capital City, sanno bene che è piccola rispetto a tutte le fazioni e sono tutti d’accordo che deve essere fermata.

“…a piedi nudi…” Claudio Moja

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